Abbiamo letto con emozione l’accorata lettera dell’artista francese Ludovic Tézier, baritono di chiara fama internazionale.
Comprendiamo e sentiamo come nostre tutte le sue preoccupazioni.
Lo ringraziamo per aver avuto il coraggio di esprimere, con grande dignità e classe ma con altrettanta verità, la difficilissima situazione che vive la nostra categoria in questo delicatissimo momento storico.
Questo il testo integrale della lettera, tradotta per noi da Leonardo Galeazzi:
“Cari colleghi, amici,
nemici e amanti della Cultura e dell’Opera, dopo lo scoppio della crisi che ha colpito il nostro Paese e il resto del mondo, molti elementi del nostro stile di vita – ora così sconvolti – sono stati colpiti frontalmente dalle misure di restrizione sanitaria – che sono chiaramente necessarie.
In questo vortice insondabile, la nostra professione viene spazzata via e cerca disperatamente un’àncora di salvezza.
Senza l’ascolto delle autorità in campo, tra le quali nessuno si stupirà che non siamo al centro dell’attenzione, il nostro “piccolo cenacolo di artigiani” sarà schiacciato, senza appello; penso in particolare ai più deboli, ai più giovani, la cui sopravvivenza è sempre dipendente dal successivo compenso.
Le nostre esistenze, contrariamente all’immagine diffusa di leggerezza che si associa al nostro costume, sono delle corse senza respiro dietro al prossimo contratto ed esigono una pianificazione del futuro che pochi, al di fuori della confraternita, sospettano.
Vale la pena sottolineare, affinché tutti capiscano, che una chiusura così brusca, non accompagnata da misure finanziarie, è per molti una pugnalata mortale alla schiena. Naturalmente, non mi pongo in questa situazione estrema, anche se tutti, pur con gradi di severità molto diversi, ne sono colpiti.
Su questa base, l’approccio adottato dagli artisti lirici nel contesto di una lettera congiunta è abbastanza giustificato; e se certi errori, che lo stato di shock del momento può facilmente giustificare, possono aver dato luogo ad un digrignamento dei denti, il punto fondamentale del problema è ben definito: la sopravvivenza della nostra professione, non nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, ma nei prossimi sei mesi, o anche…
Chi, cantante o non, perché ciò va oltre la nostra categoria, può senza molta difficoltà vivere con i suoi risparmi per sei mesi e più?
Personalmente sono scioccato, anche se purtroppo poco sorpreso, che la “famiglia ideale dell’opera lirica” si stia dimostrando, nell’attuale debacle, una “famiglia illusoria”.
In effetti pongo questa domanda: com’è possibile che tutti i teatri lirici della terra – prigionieri di certe criticità degli ultimi anni – ancora non capiscano, di fronte a una realtà primaria come questa pandemia, che la propria sopravvivenza, la stessa giustificazione della propria esistenza, si basa sugli artisti lirici e sulle loro voci?
Come non può, questo gruppo di teatri, stare al fianco dei suoi artisti e rappresentare con tutto il suo peso la professione – questa famosa famiglia dalla geometria decisamente variabile – alle autorità, le uniche in grado di salvaguardarla?
E questa salvaguardia deve riguardare tutto il personale precario, senza il quale non si può produrre alcuno spettacolo.
La disunione è la madre delle minacce.
Il disimpegno finanziario delle istituzioni liriche, legato alla cancellazione dei contratti in corso, così come la sospensione di quelli futuri, non aiuta, a dir poco, a togliere dal fossato, dal crepaccio, coloro che compongono la vita stessa e l’interesse di queste scene.
Inoltre, lo stesso Ministro della Cultura, il signor F. Riester, ha recentemente incoraggiato queste istituzioni a muoversi nella direzione del pagamento delle spettanze agli artisti, ma questa purtroppo non è la musica che i teatri suonano di concerto attualmente.
Come spero vivamente, tutte le altre categorie di lavoratori, molto provate, saranno assistite e mantenute in vita, in primo luogo tutte le professioni legate alla salute, molti dei membri delle quali sono miei amici e che vedono ogni giorno l’indicibile che si svolge sotto i loro occhi, anche se esperti, al servizio di tutti.
I teatri lirici soffrono da anni di un calo cronico dei sussidi; questo non è tanto la conseguenza di una disaffezione del pubblico che ogni sera riempie le nostre sale, quanto piuttosto il risultato di un vecchio disinteresse per le politiche di bilancio, così tristemente calcolatrici che sono arrivate a far traballare un pilastro fondamentale della nostra società: la salute.
Vediamo il risultato in quest’ora di triste verità.
Così come non è, a mio parere, il momento di chiedere qualcosa di diverso dall’aiuto e dalla giustizia, per quanto legittime possano essere alla fine tali richieste, mi sembra più che inopportuno essere tentati di risparmiare a spese di persone che per nulla, assolutamente per nulla, sono tutelate in un caso del genere.
Salvo considerare che non valgano nulla, o al massimo siano intercambiabili.
Come ho detto poco fa ad uno dei nostri grandi professori di medicina, che mi ha fatto un bel complimento: “Noi artisti, a differenza di voi, non salviamo vite umane!”.
Al che lui ha risposto: “Tu ci aiuti a salvarle attraverso il sogno che ci porti”.
Tutto ciò che contribuisce positivamente alla società, la esalta e la valorizza. Questo è il nostro ruolo, non così modesto in fondo: comunicare il bello, elevare.Da questo punto di vista non siamo secondari.
Infine, per ridurre il carattere oppressivo del necessario confinamento, il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, nel suo ultimo discorso, ha incoraggiato i nostri concittadini a riscoprire valori semplici, a riconnettersi con la cultura; allo stesso tempo, questi stessi teatri, che sembrano all’unisono voltare le spalle ai loro artisti, trasmettono gratuitamente sul proprio sito web una serie di magnifiche registrazioni per tranquillizzare un po’ le popolazioni incarcerate.
Quale migliore prova del fatto che non siamo secondari se siamo chiamati al capezzale dell’angoscia?
E che onore è distrarre per qualche ora le nostre sorelle e i nostri fratelli mentre affrontano le avversità!Teatri, non maltrattate coloro che sono il sangue delle vostre vene, gli artisti, coloro per i quali il pubblico riempie le vostre sale, a volte venendo da lontano; non trascurate coloro che giustificano i sussidi che vi alimentano.
Posso concludere dicendo che oggi non so quanto “valga” il mio nome – senza dubbio non molto nella tempesta.
Quindi è in qualità di artista lirico che per trent’anni ha lavorato per i nostri teatri d’opera, attraversando gli alti e bassi di una carriera, che mi esprimo.
Tutti quelli che mi conoscono sanno che, come i miei amici sul palco, dò il meglio di me in ognuno dei miei ruoli; come loro, lascio lì la mia energia, il mio amore, spesso i miei affetti… dal momento che sono lontano da casa, molto della mia vita, un pezzo della mia anima.
Questo è il lavoro! E come tutti voi, amo questo lavoro.
La Cultura è così importante nella nostra vita? E l’opera?
Naturalmente ne sono convinto; ognuno può rispondere alla domanda con la propria coscienza e con la propria idea di come dovrebbe essere la vita.
Ma le donne e gli uomini che vengono portati sul palco davanti a voi – chi con la paura della precarietà allo stomaco, chi con le corde vocali gonfie, nell’incertezza assoluta di consegnare le loro voci ferite al pubblico, chi dopo una separazione, la morte di una persona cara – queste donne e questi uomini ci portano non solo la loro arte, così esigente in termini di lavoro e sacrificio, ma la loro personalità unica: essa dona colore alle nostre società disincantate.
Auguro a tutti di avere, come me, la grande fortuna di essere con loro.
Dobbiamo salvare la professione, dobbiamo salvare chi porta la luce sul palco, altrimenti le lanterne si spegneranno lentamente.
In nome di tutto questo, e dei miei colleghi che amo e ammiro, vi chiedo di comprendere e apprezzare le ragioni di questo grido d’allarme, che non deve diventare un canto del cigno… per tutti noi, per le generazioni a venire.
Mozart, senza la gola esperta che lo serve o il musicista che lo illumina, muore definitivamente, e i teatri lirici che non sostengono i loro migliori difensori, gli artisti, finiscono di inchiodare la sua bara… così come scavano le loro stesse tombe.
Mi scuso in anticipo con tanti, che in questo momento soffrono crudelmente, per aver dovuto usare questa metafora morbosa.
Ma l’incomprensione reciproca deve cessare, affinché solidali possiamo salvarci insieme.
Vi abbraccio e vi auguro di cuore disciplina e fortuna”.
LUDOVIC TEZIER